No fifty fifty

“No fifty fifty” dice il maestro cinese della mia insegnante di Tai Chi, quando lei va una volta all’anno a trovarlo per affinare le tecniche di spada o il respiro (in effetti, mi racconta che la sua pronuncia è più simile ad un “No fitty fitty”).
“No fitty fitty” ribadisce il maestro Chu, nella sua casa in Sardegna (mica scemo, il maestro Chu). Il tuo peso è a destra o a sinistra, mai metà o metà. Quando spingi via qualcuno le tue dita puntano avanti, non in alto, perché è avanti che vuoi andare.
Se la tua volontà è intera, completa, il tuo corpo seguirà, la tua azione sarà efficace, e il resto è in mano all’universo.

No fitty fitty.

Elsa Limonta su SHIATSU NEWS, ed. Federazione Italiana Shiatsu

I
l Tai Chi Chuan o Taiji Quan (letteralmente "box del polo supremo")
è una antichissima pratica cinese
legata ai principi delle medicina cinese
e del Taoismo.
Viene definita un'arte marziale interna,
poiché lo scopo principale delle sue
tecniche di respirazione e della concentrazione sui movimenti, è quello
di sviluppare e di far circolare liberamente il Chi, l'energia interna.
Quindi può essere vista come ginnastica salutare, sia in termini preventivi che terapeutici energetici, nonché
una meditazione dinamica.
Il Tai Chi Chuan ha tre radici: la filosofia taoista,  la medicina cinese,  le
arti marziali.
Farò in questo articolo alcune riflessioni sul rapporto fra il pensiero taoista e la pratica del TCC.
La saggezza che troviamo nei libri di
Lao-tzu, Chuang-tzu e Lieh-tzu è
intramontabile e, oggi più che mai
nel nostro mondo caotico, avido e
violento, può diventare un faro per
orientare le nostre vite disordinate e
ansiose verso l'armonia e la serenità.
Il Tao Te Ching di Lao-tzu inizia con
una affermazione di impredicabilità:
il  Tao di cui si può parlare non è
l'eterno Tao. L'eterno Tao non ha
nome. È quindi per l'uomo impensabile, inconoscibile. È il nulla divino,
come lo chiamano i mistici della
nostra tradizione. Eppure, come
molti mistici di ogni tempo e di ogni
cultura, anche questi antichi filosofi
cinesi hanno cercato, pur nei limiti
del linguaggio, di mostrarci quel
luogo di gioia e libertà, che nulla ha
a che vedere con esperienze straordinarie, esoteriche, ma che consiste
semplicemente in un modo di essere
nel mondo. Quel luogo è sempre lì,
nell'immediatezza e nella spontaneità del vivere, solo che noi non lo
vediamo, perché siamo sempre
altrove a rincorrere illusioni, come
l'affermazione del  nostro io e la difesa della nostra immagine.
L'eterno Tao quindi non lo si può
conoscere come si può conoscere
un oggetto. L'eterno Tao lo si è, lo si
vive: questa è per Chuang-tzu la
conoscenza suprema.
Per analogia posso dire che non si
può conoscere il  Tai Chi Chuan se
non praticandolo, vivendolo. Le cose
sul Tai Chi Chuan che si leggono nei
libri si capiscono solo dopo una pratica relativamente lunga.
Diverse sono le motivazioni iniziali
delle persone che si accostano al
TCC: motivi di salute per curare dei
disturbi presenti o per prevenire
diversi malanni che possono insorgere con l'età o a causa di uno stile
di vita poco salutare; bisogno di
muoversi un po' come in una ginnastica dolce, non violenta; desiderio di
rilassarsi; piacere della danza; ricershiatsu e... 11
Ts'ai Chi'h
The petals fall in the fountain,
The orange-coloured rose-leaves,
Their ochre clings to the stone.      
Petali cadono nella fontana,
Petali di rosa color arancio,
Il loro ocra si stringe alla pietra.
Ezra Pound
di Elsa Limonta
Il Tao non agisce, eppure tutto si compie
SHIATSUNEWSSECONDOTRIMESTREca di socialità; gioia di una pratica
all'aperto in mezzo alla natura;
meditazione in movimento. Ma chi
con pazienza e apertura mentale
continuerà a praticarlo andrà incontro a delle felici sorprese e ne trarrà
dei benefici inaspettati.
Il TCC è innanzitutto apertura. Tutti
i movimenti sono stati studiati per
permettere il massimo di apertura
del corpo affinché l'energia circoli
liberamente; ma questo è un discorso legato al taoismo alchemico e
alla medicina cinese che potremo
affrontare un'altra volta. Qui vorrei
invece parlare dell' apertura mentale, che pure è indispensabile per
progredire nel TCC e in generale
nella propria vita. Una mente aperta è una mente fresca, non condizionata, disponibile ad accogliere il
nuovo. "Non giudicare mai" ci
ammoniscono gli antichi filosofi
taoisti. Dare un giudizio è giungere
ad una conclusione e con la memoria il giudizio diventa poi  pregiudizio.
Solo una mente vuota e libera è in
sintonia col continuo cambiamento
della vita. Essere in presenza mentale, vivere con attenzione il presente, questa è la vera meditazione.
La pratica del TCC ci fa sperimentare l'importanza di essere sempre
presenti mentalmente a quello che
si sta facendo. Se altri pensieri
insorgono avvertiamo subito un
disequilibrio, una disarmonia.
Dentro noi e nel rapporto con gli
altri. È incredibile, ma dopo anni di
pratica, questa disarmonia la si
avverte anche se sopravviene negli
altri. Non è sufficiente che ogni individuo del gruppo conosca bene
tutta la concatenazione dei movimenti e che questi vengano eseguiti correttamente con lo stesso ritmo
insieme agli altri. Certamente questo è necessario. Ma la vera unità  e
l'energia del gruppo la si sente solo
quando ogni praticante è in presenza mentale.
"Chi conosce gli altri è intelligente,
chi conosce se stesso è illuminato"
leggiamo nel Tao Te Ching.
"Conosci te stesso" è l'invito che
filosofi e saggi di ogni tempo e cultura continuano a farci, proprio perché la conoscenza di sé non è così
scontata. Molte zone della nostra
psiche sono oscure e agiscono in
noi a nostra insaputa. Già Eraclito
pensava che: "Per quanto tu possa
camminare, e neppure percorrendo
intera la via, tu potresti mai trovare i
confini dell'anima: così profondo è il
suo logos." Si tratta quindi di una
ricerca, di un apprendimento e di
una scoperta che non finiscono
mai, anche perché noi cambiamo
continuamente nella nostra vita.
Praticando il TCC  impariamo a
conoscere meglio in nostro corpo e
attraverso il corpo i nostri blocchi
emotivi, il nostro carattere, il nostro
modo di reagire. Quando si riesce a
prendere consapevolezza di qualche conflitto interno che ci porta
ansia, oppure di qualche aspetto
del nostro carattere che ci fa soffrire nei rapporti con gli altri, il TCC
non li giudica, non si oppone ad
essi, ma li accoglie e con pazienza
e morbidezza, quasi inavvertitamente, li scioglie e li supera. Si arriva così ad un nuovo equilibrio personale più sereno, a un modo di
essere nel mondo  più adeguato.
Forse più importante dell'introspezione è la risposta dell'altro al
nostro comportamento che ci permette di conoscerci.  Il TCC prevede molti esercizi in coppia, (per
esempio la spinta con le mani)
durante i quali c'è uno scambio
energetico fra i due praticanti. L'uno
sente anche l'altro. Ci si manda
reciprocamente dei segnali volti a


(da finire)

Stage Val di Mello giugno 2010

La festa di Natale al Centro Spazio Tempo

IL TAI CHI COME TERAPIA CONTRO LA FIBROMIALGIA

Da : THE NEW YORK TIMES
Monday, September 6, 2010


IL TAI CHI COME TERAPIA CONTRO LA FIBROMIALGIA


L'antica pratica cinese del TAI CHI può avere effetti positivi come terapia nella cura della fibromialgia, secondo uno studio pubblicato dal "New England Journal of Medicine".
Una sperimentazione clinica al Tufts Medical Center di Boston ha dimostrato che, dopo 12 settimane di Tai Chi, pazienti con la fibromialgia, condizione di sofferenza cronica, hanno ottenuto miglioramenti in modo significativo per quanto riguarda dolore, affaticamento, movimento, insonnia e depressione rispetto a un gruppo di confronto che seguiva un programma salutistico di stretching più tradizionale. I pazienti che praticavano il Tai chi hanno continuato a migliorare anche dopo tre mesi.
Il Dr Daniel Solomon, capo ricercatore clinico in Reumatologia al "Brigham and Women's Hospital" di Londra , non coinvolto nella ricerca, ha detto " E' una scoperta impressionante".
" La ricerca è stata condotta in modo corretto. E' straordinario constatare che i benefici sembrano continuare."
Benché il gruppo di studio fosse piccolo, 66 pazienti, parecchi esperti lo hanno considerato convincente perché la fibromialgia è una condizione complessa e spesso fuorviante, che colpisce cinque milioni di Americani, soprattutto donne, secondo i Centri per il Controllo e la Prevenzione delle malattie. Dal momento che i sintomi possono essere moltissimi e camuffare altri disturbi e la sua diagnosi dipende in larga misura dalla descrizione del paziente, non dalle analisi del sangue o dalla biopsia, sono ancora motivo di grande dibattito la causa e la cura di questo disturbo.
" E' certamente importante che "The New England Journal" abbia citato questo studio, abbia trattato il problema della fibromialgia soprattutto abbia parlato del Tai Chi come terapia alternativa, "cosa che suscita spesso molte perplessità ," ha detto il Dr. Robert Shmerling, capo clinico di Reumatologia al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, coautore di un editoriale su questo studio.
" La fibromialgia è molto diffusa e abbiamo molta difficoltà nel curarla in modo efficace. Dipende dai sintomi descritti dal paziente," ha aggiunto. " E' difficile per le famiglie dei pazienti e per i medici che li curano distinguere tra ciò che è reale e ciò che non lo è. A maggior ragione è impressionante il risultato positivo offerto da qualcosa che non ha nessuna controindicazione."
Risultati recenti hanno suggerito che il Tai Chi, con i suoi esercizi lenti, la respirazione e la meditazione, può portare beneficio ad altre condizioni croniche, inclusa l'artrite. Ma nessuna di queste ricerche è arrivata a una conclusione definitiva e il Tai Chi è complesso da studiare perché molti sono gli stili e i modi per accostarvisi.
Lo studio sulla fibromialgia è stato condotto con lo stile Yang, insegnato dal maestro di Tai Chi Ramel Rones. Il Dr. Solomon e altri esperti hanno affermato che è necessaria una certa cautela prima di arrivare a risultati certi ed è necessario provare anche altri stili.
In ogni caso, pazienti che hanno frequentato lezioni bisettimanali e seguito una pratica di 20 minuti al giorno con l'aiuto di un DVD hanno mostrato miglioramenti ogni settimana con l'aiuto di una misurazione definita : "The Fibromyalgia Impact Questionnaire" , migliorando rispetto al gruppo che seguiva una cura di stretching tradizionale, e i miglioramenti si sono avuti nei movimenti, nel sonno, nel camminare e nella salute mentale. Un terzo ha smesso di usare medicine, rispetto al sesto del gruppo che seguiva il programma di stretching tradizionale.
La Dottoressa Chenchen Wang, una reumatologa del centro ospedaliero al Tufts che ha condotto lo studio, ha detto di aver attribuito i risultati positivi al fatto che " la fibromialgia è un problema molto complesso " e " il Tai Chi ha molteplici componenti fisiche, psicologiche, sociali e spirituali."
La terapia ha colpito molto positivamente Mary Peteresen, una pensionata di una compagnia telefonica del Massachusetts, che ha detto che, prima di partecipare al gruppo di ricerca nel 2008, " non riuscivo a camminare mezzo miglio" e " mi faceva malissimo persino mettere le mani sul capo." Dormire era un problema ed era sovrappeso. Aveva provato e poi rifiutato medicine, terapie fisiche, il nuoto e tentativi di altro tipo. " Mi trattavano con un tono di condiscendenza, perché non riuscivano a fare una diagnosi: 'E' in menopausa, è fuori di testa.'"
Prima della sperimentazione: " Non avevo la più pallida idea di che cosa fosse il Tai Chi", ha detto la signora Petersen , che ha il diabete e altri problemi. "Mi sono detta : 'OK. Vedo della gente, esco di casa.' Non ci credevo per niente, mi dicevo che era una cosa inefficace , persino un po' stupida."
Dopo poche settimane, ha detto di cominciare a sentirsi meglio e, dopo 12 settimane, " i dolori erano diminuiti del 90 per cento." Ha continuato il Tai Chi, perso peso e riesce a camminare da tre a sette miglia il giorno.
Il Dr. Shimerling sostiene che, benché poco costoso rispetto ad altri trattamenti, alcuni pazienti lo rifiutano come terapia alternativa. E la Dottoressa Gloria Yeth, un'internista dell'ospedale e coautrice dell'editoriale, sostiene che per alcuni pazienti " è troppo lento, non riesco a farlo."
Ma dice anche che è una "valida e morbida alternativa" per i pazienti dissuasi da terapie fisiche tradizionali. " Il rapporto mente-corpo trascurato da altri tipi di ginnastiche", è importante insieme a qualsiasi cosa che possa far dire ai pazienti: " Questa cosa la posso certamente fare."
Traduzione di Maria Serena Pasinetti

Wu. L'aquila e il dragone, un racconto impossibile

WuL'aquila e il dragoneun racconto impossibile
di STEFANO PELLEGRINI

Ispirato ad un praticante di TaiChi dalla mostra "I DUE IMPERI"


Durezza e rigidità sono compagne della morte,
morbidezza e flessibilità compagne della vita.
Nulla al mondo è più morbido e cedevole dell'acqua,
eppure nel distruggere ciò che è duro e forte,
non vi è nulla che riesca a superarla.
Lao Tsu, “il libro della Via e della Virtù”
Che tu non possa vedere nulla
di più grande di Roma.
Quinto Orazio Flacco, “Carmen saeculare”,

Nell'alta torre le donne tessevano seta.
La torre aveva quattro piani, ciascuno più piccolo e leggero del sottostante, e quattro animali sacri in pietra che ne proteggevano i quattro lati.
Gli animali erano il dragone azzurro, l'uccello vermiglio, la tigre bianca e la nera tartaruga, ed ognuno di loro, oltre ad un punto cardinale, rappresentava anche un elemento, una stagione dell'anno, un colore, e un diverso momento dell'alternanza tra yin e yang.
In cima alla torre, un gong di bronzo era retto dal quinto animale, il dragone giallo, che rappresentava anche il centro, la terra, il passaggio dalla vecchia alla nuova stagione, l'equilibrio tra yin e yang.

Arrivò da ponente un esercito sconosciuto, brandendo stendardi con aquile. Qualcuno li avvistò, qualcuno suonò il gong in cima alla torre. Le donne tutte alzarono gli occhi dalla seta.
Shen, la più giovane delle guardie della torre, infilò la testa nella feritoia.
“Sono Parti?” chiese.
Il suo compagno fissò preoccupato le strane insegne e i grandi scudi, e scosse la testa.
“No, non sono Parti.”
L'esercito dell'Imperatore Celeste era accampato poco distante, e rispose al gong: al suono dei tamburi, i balestrieri fecero volare centomila frecce sulle aquile e sugli scudi invasori, ma senza rallentarne l'avanzata. I soldati nemici marciavano su tre file, precisi, compatti, con scuri cavalieri a proteggerne i fianchi. Avanzarono finché i passi che separavano i due schieramenti non divennero venti, poi cinque, poi nessuno.
L'impatto fu terribile.
L'avanzata degli invasori fu finalmente arrestata, almeno in principio; l'esercito del Tianxia, soprattutto in virtù del suo più grande numero, sembrò fare da argine a quella marea compatta (tutto intorno, gli scuri cavalieri nemici si inseguivano con i carri da guerra). Tuttavia, gli stranieri si rivelarono inarrestabili: con precisi movimenti la prima fila indietreggiava e la seconda avanzava, e poi la seconda cedeva al posto alla terza, come un magnifico alternarsi di yin e yang, e così, mentre i soldati del Tianxia erano allo stremo, le loro truppe erano sempre fresche. Alla fine, inevitabilmente, l'avanzata dell'esercito delle aquile riprese. I soldati del Celeste Impero, per lo più contadini, di fronte a quella forza inarrestabile e sconosciuta pensarono alle loro case e fuggirono, offrendo così le schiene alle spade e alle lance. L'esercito difensore si spezzò, e fu spazzato via.
Il 
legatus, comandante della legione romana, girando e rigirando il suo sesterzio tra le dita, fissò la rotta dell'esercito dei barbari con i suoi sconcertanti occhi azzurri (sua madre era germanica).
Shen, sulla torre, era pallido come la ceramica.
“Mandate un messo al Celeste Imperatore” disse il suo compagno, senza distogliere gli occhi dagli aquile sugli stendardi. “Il Da Quin ci sta attaccando.


Il maestro Wu Youmei si svegliò nel suo letto lentamente, in maniera naturale. Andò a svuotare la vescica nel vaso (la mattina si svegliava con un crescente desiderio di orinare, ma era normale, era la vecchiaia, era un cambiamento a cui si doveva adattare). Salutò gli antenati, accese il fuoco, e mise a bollire l'acqua, per il tè. Mentre aspettava incrociò le mani e le pose sul tian, l'area tra l'ombelico e il pube, respirando profondamente. Prima che l'acqua bollisse la tolse dalla brace e vi sparse dentro foglie di tè. Aspettò, ripetendo a se stesso che il tè ha il dono prezioso di insegnare la pazienza. Quando fu pronto lo bevve, si sistemò la tunica con cui aveva anche dormito, e uscì nella mattina di Roma.

La Civitas Serica, come veniva chiamato il pezzo di Roma dove i Seres si erano concentrati, era già sveglia.
“Maestro Wu. Buongiorno.”
“Buongiorno Maestro Wu.”
“Buona giornata Maestro Wu”
Wu rispondeva con un cenno del capo. I bottegai aprivano le assi delle tabernae e tiravano fuori i vasi e i tessuti e il tè. Dalle porte di ogni palazzina i poveri uscivano a fiumi, avidi di aria fresca dopo aver passato la notte ammassati gli uni sugli altri; sopra ad ogni porta, un drago portava buona fortuna. Il mattino di Roma era umido, come sempre.
Vicino al grande Buddha un monaco bruciava incenso e oscillava ritmicamente. Il maestro Wu li sorpassò entrambi ed uscì dalla Civitas Serica.

“Mi scusi, per favore, permesso.”
“Signore le serve un avvocato? Le serve una signorina per fare compagnia? Un ragazzo sano, pulito?”
La strada per i fori era la confusione e la folla che era sempre, anche presto al mattino.
“Schiave! Schiave dalla Nubia! Schiave!”
“Seres!” tuonava un uomo canuto e togato, allargando le braccia come un uccello. “Seres!” disse
ancora, alzando stavolta un dito verso il cielo. Il vecchio era patetico e teatrale, ma un gruppo di perdigiorno e qualche prostituta dai capelli colorati lo stavano a sentire. “Seres! Venuti da oltre i confini del mondo ad avvelenare i nostri costumi! Già le nostre donne indossano le loro indecenti vesti di sete, che nulla coprono, e non più è il marito l'unico a conoscere le grazie nascoste delle spose.” Il canuto guardò a terra e si portò un pugno alle tempie. “Io vi chiedo, dove è finita l'onorabilità delle matrone romane? Dobbiamo permettere a questi barbari di corrompere i costumi dei nostri antenati?”
Il maestro Wu camminava e pensava che la primavera di nuovo tornava. Lo yin aveva raggiunto il suo culmine e ora lentamente tornava yang.
“Eccone un altro!” gridò l'oratore, ed indicò il maestro “E questo con la tunica come un romano!”
il maestro pensò distrattamente che un sasso lanciato in un lago crea un alternanza di yin e yang, ma dopo poco tempo l'equilibrio è ristabilito e l'acqua torna ad essere serena e limpida. Non puoi vedere in uno stagno agitato.
“Seres!” gridò nuovamente l'oratore, ma Wu si infilava veloce nella calca, scivolando come acqua tra le rocce, e quando l'oratore sputò le sue parole lui era già lontano.

La strada che portava al foro era, ai due fianchi, adornata di iscrizioni funerarie; talvolta il volto stesso del defunto, inciso nella pietra, ti chiedeva di ricordarlo.
Il maestro Wu annuì, compiaciuto. Amava molto, degli abitanti del Da Quin, l’importanza che davano a ricordare i propri antenati. Parlando con il senatore Graccus, aveva scoperto che in ogni casa allestivano un piccolo altare, con al centro un statuina del del capostipite della famiglia; non era così diverso dal loro culto dei morti. Ad ogni viaggio verso il foro Wu si fermava a leggere il nome di alcune tombe, a fissare alcuni di quei visi. Alcune non erano iscrizioni funerarie ma lodi a Giove, e a Giunone, con il nome del committente bene in mostra: devozione e pubblicità erano a Roma strettamente intrecciati.
Era quasi giunto al foro quando vide qualcosa di estremamente sgradevole: due “seres” come erano chiamati nel Da Quin, combattevano l’uno contro l'altro, mentre intorno dei perdigiorno e una meretrice dalla faccia truccata piazzavano scommesse. Bastavano pochi sguardi al maestro Wu per capire che usavano rispettivamente lo stile della tigre e della scimmia, che il loro livello era abbastanza basso, e che l’incontro era truccato. Fece solo un lunga respirazione, per rimettere in moto il Qi.
Era appena entrato nella congestione del foro, con le urlate offerte di frutta fresca e schiave libiche, quando vide il senatore Graccus, che lo avvistò a sua volta.
Il rubicondo senatore, accompagnato dallo schiavo che era la sua ombra, fece per salutarlo, poi si bloccò, sorrise, chiuse la mano destra a pugno e la portò davanti a se, l'avvolse con la mano sinistra, e si inchinò leggermente.
Il maestro Wu annuì, e sorrise.
“Ave, Wu Youmei Sericus! Vieni, ho molte cose di cui parlarti, e ho assolutamente bisogno che tu ti finga esperto di vasi.”

Wu sollevò il vaso tra le mani. Il suo volto era impenetrabile.
Il commerciante, un greco ciccione e riccio, giurava e spergiurava su metà del pantheon romano che si trattava di un vaso proveniente dall'impero dei seres.
“Ha attraversato il mondo, è normale che costi qualche sesterzi, gentile signore.”diceva, rivolgendosi a Graccus, e lisciando la corta barba. “Ma a questo prezzo quasi ci rimetto, che Zeus mi fulmini dove sono se dico menzogna!”
“Ah!” rispose Graccus “il giorno che crederò alle promesse di un commerciante di Roma mi ritirerò dal senato e correrò nudo per il foro. Tu cosa dici, Wu?”
Wu non gli rispose. Studiò il vaso nei minimi particolari, accarezzò i rilievi, né saggiò il suono colpendolo con il dito. Infine posò il vaso e guardò il commerciante.
Non disse niente.
“Ehm” tossì il greco.
Wu lo fissava, il suo sguardo uno specchio vuoto. Graccus aspettava.
“Posso...” disse infine il commerciante, “solo perché siete voi, gentile e potente signore, magari posso togliere qualche sesterzi”
Wu continuava a fissarlo. Non faceva niente, ma sembrava avere un grande effetto.
“...Facciamo 20 sesterzi, gentile signore, ma veramente, di più non posso, ho moglie e figli.”
Graccus non rispose. Wu sembrava riuscire a stare un tempo molto lungo senza sbattere le palpebre.
“...15 sesterzi, e la consapevolezza che oggi i miei figli non mangeranno. Va bene?”
“Te ne do dieci” disse infine Graccus “e ti sentirai fortunato che il mio amico esperto in magia serica non ti maledica.”
“Dieci!” gridò il commerciante impaurito. “Dieci va benissimo! Grazie gentile signore. Molto obbligato gentile signore!”
Graccus prese dieci sesterzi dal sacchetto che teneva attaccato alla cinta, li contò nel palmo della mano del commerciante e si allontanò con Wu, mentre il grasso greco si profondeva in inchini e benedizioni.
Appena voltato l'angolo scoppiò a ridere.
“Sei uno spasso Wu!” disse, dandogli una grande pacca sulla spalla (a questa mania romana di toccarsi Wu non si era mai abituato). “E questa bellezza starà benissimo nel mio atrio!” aggiunse, rimirando il vaso.

Continuarono a girellare tra i banchi. Graccus conosceva e parlava con tutti, interessandosi alle novità, invitando gente a cena. A volte Wu ebbe in effetti il dubbio che qualcuno dei suoi interlocutori non lo riconoscesse, ma a sentirsi salutare in maniera così familiare e calorosa lo trattavano a loro volta come un vecchio amico. Con questi sconosciuti, ma non solo, Graccus adottava talvolta un atteggiamento particolare: infossava le spalle, portava il capo in avanti, e spalancava gli occhi e la bocca in una espressione scioccamente bovina.
“Se pensano che sei stupido.” gli aveva confidato un volta Graccus “abbassano la guardia, e parlano di più. E non c'è niente di più importante di sapere le cose prima degli altri, a Roma.”
“Caius Flagellus!” gridò un legionario, un po' troppo ubriaco per l'ora. “Caius Flagellus, l'eroe di Britannia! Lui si che ha grandi idee per Roma!”
Tanto bastò: Graccus mise in atto la sua trasformazione e mise un braccio attorno alle spalle del legionario.
“Davvero? Raccontami tutto. Posso offrirti un poco di vino?”

A pranzo Graccus e Wu mangiarono della carne al volo presso un venditore ambulante, e il pomeriggio si separarono. Graccus continuava la sua giornata dentro Roma, mentre Wu si riavviava verso la Civitas Serica e verso casa. Passò il pomeriggio a correggere e ricorreggere la sua stessa traduzione del Tao te ching, che nelle rozze lettere latine, dritte come ferite di coltello, gli sembrava perdere tutta la sua poesia e il suo equilibrio:
“La Via che può essere nominata
non è l'eterna via.
Il nome che può essere nominato
non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio del cielo e della terra
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.”
Alla fine si arrese, si preparò un po' di riso, bevve l’ultimo tè della giornata, e si addormentò.

Il mattino seguente il maestro Wu si svegliò, liberò la vescica, e scaldò l’acqua per il tè. Poi bussarono alla sua porta.
“Chi è?”
“Pretoriani.” rispose una voce asciutta.
Perplesso, il maestro Wu apri’. Dietro c’erano due pretoriani, vestiti con il padulamentum dei soldati non in servizio. Non si vedevano gladi ma Wu ne indovinò la presenza.
“Wu Youmei Sericus? Wu della gens Youmea?” chiese uno di loro. Il maestro Wu annuì. Il suo nome di famiglia era Wu, e il suo nome proprio Youmei, ma aveva da tempo rinunciato a chiarire l’equivoco.
“Vieni con noi”
“Posso sapere dove? O per quanto tempo?”
Si lanciarono un’occhiata l’un l’altro. Uno dei due legionari era molto giovane, quasi femmineo: questi alzò leggermente le spalle, chiuse le labbra a cuore; l’altro, che invece sembrava un macellaio, scosse semplicemente la testa.
“Yin e Yang” pensò Wu, guardando i due pretoriani..
“Permettetemi almeno di togliere l’acqua dal fuoco” disse.

“Stanno portando via il maestro Wu” gridò il bambino in lingua serica, correndo per la strada. Il cieco suonatore di guqin, che aveva appena cominciato una melodia tempestosa come fiumi in tempesta, si interruppe bruscamente (il suo strumento diede rumore di corde quasi spezzate), e avvicinò la mano all’orecchio per sentire meglio.
I serici che erano giunti a Roma in cerca di fortuna non si erano dispersi, ma ogni famiglia era diventata un punto di riferimento per le famiglie che erano venuto dopo, e lentamente avevano colonizzato varie palazzine (i romani le chiamavano insulae) della periferia di Roma; era così nata la “Civitas Serica”, così era chiamata, e lì, unica eccezione a Roma, la lingua più usata non era il latino.
Da ogni casa di legno si affacciavano mille volti, tutti a guardare i pretoriani portare via il maestro Wu. Due serici con la faccia da tagliagole che, inginocchiati, tiravano dadi contro la strada, interruppero il gioco e le piccole scommesse per guardare i pretoriani passare, e il maestro Wu seguirli con la sua usuale aria pensierosa.
“Non vedo l’ora di uscire da questo maledetto posto” disse il legionario Yang, tra i denti.“Non sembra neanche di essere a Roma.”

Con grande sorpresa di Wu, si avvicinarono al Palatino, con la sua ricca popolazione di scultori, pittori, fornai, prostitute, politici, liberti, gladiatori. Era così diverso dal quartiere dei Seres da non sembrare nemmeno nella stessa città; ma Roma, aveva scoperto Wu, era più grande del mondo.
La perplessità di Wu andava aumentando. Aveva pensato che lo stessero portando nelle galere (non che avesse fatto qualcosa, ma i romani erano soliti ripetere che “i seres sono tutti uguali”, e avevano spesso fatto uso di questa argomentazione quando un capro espiatorio era necessario.)
Il suo stupore diventò ancora più profondo quando varcarono i cancelli del palazzo imperiale, e profumate schiave dalla pelle scura lo condussero attraverso tendaggi color porpora e ricchi affreschi di divinità seminude.
La schiava lo portò in una stanza lussuosa, anche questa ricca di tende rosse e con la una statua di una donna dai seni scoperti. Venere, si chiese Wu? Giunone? Diana? O un qualche culto egizio? Era impossibile distinguere tra le infinite divinità romane, specialmente perché nuove sembravano arrivare ogni giorno; aveva persino visto delle statue del Buddha, e non nella Civitas Serica.
I pretoriani lo salutarono militarmente battendo i tacchi e sollevando il braccio, e fu solo. Rimase ad attendere per lunghi minuti che diventarono ore. Si concentrò allora sulla respirazione. Sentimenti negativi come l’ansia, la paura, e persino la noia potevano creare dei blocchi nella circolazione del qi, ed era meglio scongiurarli subito.
Alcune ore dopo arrivò un uomo truccato come una donna.
“Mmmh, ma si può sapere dove eri finito?” disse, agitando le mani esageratamente.
“Yin e yang” pensò di nuovo il maestro Wu.
“Lascia stare lascia stare” disse l’uomo truccato “vieni con me, sbrigati” e cominciò a camminare velocemente per i corridoi del palazzo.
“Allora, c’è tutto un protocollo, naturalmente. Qualche imprecisione ti verrà scusata perché sei solo un sericus, ah ah, no scherzo, non ti sarai offeso, sciocchino.”
L'uomo-donna camminava, parlava e gesticolava. Wu faticava semplicemente a tenere il passo.
“Allora, dicevamo, il protocollo. Quando entri ave cesare saluto saluto etcetera etcetera, a domanda rispondi (e stai attento che oggi ha un brutto mal di schiena) poi quando ti congedi ave cesare etcetera etcetera. Tutto chiaro?”
Wu aveva colto una sola parola.
“Cesare?”
“Ma certo, Cesare! Non ti hanno detto niente? Quella sciocca di Uhala quando l'acchiappo mi sente. Oh!” gemette, e si schiacciò contro il muro; a Wu sembrò saggio fare altrettanto.
Un piccolo gruppo di militari li superò e quasi li investì. Al centro, un uomo imponente dai modi arroganti e e dal mantello rosso parlava sdegnato, e gli altri annuivano.
“Bene” disse l'effeminato “Caius Flagellus. Oltre al mal di schiena, l'arrabbiatura. Sarà bene che tu stia attento, lì dentro, serico.”
Arrivarono davanti ad un'imponente doppia porta. L'effeminato la aprì. Entrarono. L'effeminato assunse una posa marziale che non gli si confaceva, sollevò il braccio destro e disse
“Ave, Cesare. C'è qui il serico da te richiesto.”
La stanza era quasi spoglia se paragonata al resto del palazzo. Era molto grande e ricca di affreschi, ma completamente priva di tende o mobili. C'erano solo due statue, gigantesche e coloratissime. Wu riuscì a riconoscere, naturalmente, la lupa e i gemelli; il soggetto dell'altra, un uomo possente armato di clava, gli sfuggiva. Tra l'uomo gigantesco e la lupa, su un trono rialzato, sedeva Marius Iulianus Invictus, l'Imperatore di Roma, l'uomo più potente sotto il cielo.
“Ave Cesare.” disse Wu, e tacque.
Mario Iulianus Invictus lo guardava attraverso occhi socchiusi. Era seduto con grande compostezza, teso, rigido. Guardò Wu come si guarda un oggetto di cui si è dimenticato l'uso.
“Puoi andare, Vericrinus.”
L'effeminato ripeté il saluto militare e sparì, e Wu rimase solo sotto lo sguardo dell'Imperatore.
“Tu sei.. Wu Youmei Sericus?”
“Si, Cesare.”
“Il senatore Graccus mi ha parlato molto bene di te.”
“È un uomo buono, Cesare.”
L'imperatore appoggiò un gomito sul bracciolo.
“Graccus è molto più di un uomo buono. È un uomo profondamente intelligente, anche se gli piace travestirsi da sciocco. Ama farsi sottovalutare. È invece un uomo estremamente colto: so, per esempio, che coltiva lo studio della filosofia come se fosse un vizio segreto.”
“Si, Cesare. Mi ha chiesto molte cose sui pensatori della mia terra.”
L'imperatore chiuse gli occhi per un istante, li riaprì.
“Ci stiamo allontanando dal motivo per cui sei qui. Il senatore Graccus mi ha detto che gli hai fatto vedere degli esercizi che hanno grandemente giovato alla sua schiena. Una vecchia caduta da cavallo affligge la mia.”
Si alzò.
“Mostrami questi esercizi.”


“Piegatevi un poco sulle gambe. Testa dritta. Immaginate di sedervi su uno sgabello, così. Ecco. Abbandonate le spalle. Le braccia, senza forza. Adesso fatele oscillare. No, non così. Vedete, più rilassato. No troppo teso, dovete rilassarvi.”
Mario Iulianus Invictus si tirò su dalla goffa posizione in cui il sericus l'aveva messo.
“Rilassarmi?”
“Si Cesare.”
“Rilassarmi?”
“Si, Cesare.”
“Non essere assurdo, serico.” disse seccato “Io non posso rilassarmi. Se mi rilasso, i barbari attraversano i confini. Il senato dà retta a quell'imbecille di Caius Flagellus. Il popolo si ribella. Le legioni marciano su Roma. Se mi rilasso, finisco con un coltello nella schiena e in una pozza di sangue.”
“Perdonatemi Cesare, ma non sono d'accordo.”
Marius Iulianus Invictus lo trafisse con uno sguardo che sembrava un gladio.
“Come?”
“ Cesare il ….”
“Spiegati. E sii convincente.”
“Cesare, essere tesi non ci rende maggiormente pronti ad affrontare i cambiamenti, anzi, ci rende più lenti. Negli antichi testi della mia terra è scritto che solo i morti sono rigidi, ciò che è vivo è flessibile. Guardate me, Cesare, io sono rilassato” disse il maestro Wu, allargando le braccia “ma questo non mi rende meno vigile.”
Cesare lo ascoltò, immobile come la statua dell'uomo con la clava. Poi sferrò un pugno contro il naso di Wu.
Con gentilezza, il braccio del maestro Wu accompagnò il pugno dell'imperatore alla destra del proprio volto, per bloccargli poi il polso come se afferrasse la coda un un piccolo passero; contemporaneamente, la sua mano sinistra, di taglio, avanzò verso il volto dell'imperatore, quasi sfiorandogli la guancia. Assorbire e colpire. Ricevere e dare. Vuoto e pieno.
L'azione fu così delicata da sembrare lenta; Marius Invictus, imperatore di Roma, si era ritrovato all'improvviso alla mercé di quel vecchio serico. Ritirò il braccio afferrandosi il polso, con uno sguardo che avresti giudicato indignato e quasi ferito, se non l'avessi visto sul volto dell'imperatore.
Forse sto per morire, pensò Wu. Ma non importa, ho seguito la Via.
Aspettava. Le statue erano in silenzio.
Infine l'imperatore strinse i pugni e il suo sguardo tornò ad essere acciaio romano.
“Sei stato convincente.” disse.
Si allontanò di pochi passi, riprese la posizione, inspirò profondamente, trattenne il respiro, e infine lo lasciò uscire. Il miglioramento fu quasi impercettibile, ma a Wu sembrò di vedere un enorme nodo allentarsi un poco. Apprezzò lo sforzo.
“Meglio?” chiese Marius Invictus. Wu annuì.
“È un inizio, Cesare.”

Passò circa un’ ora quando qualcuno bussò alle grandi porte della sala Imperiale.
“Avanti.”
Le porte si aprirono ed entrò un vecchio rugoso come una vecchia prugna.
“Ave!” disse. “Cesare...” e si bloccò.
L'Imperatore di Roma e un serico anziano con la tunica logora erano in punta di piedi con il braccio alzato, tutti allungati verso l'alto, come a voler toccare il soffitto dorato.
“Dimmi Gratianus” disse Invictus, rimanendo nella posizione e cercando l'equilibrio, come gli aveva detto Wu.
“Il messo della Libia, Cesare. È arrivato e domanda udienza. Sostiene trattarsi di faccende urgenti.”
“Sono sempre urgenti.” rispose Invictus, portandosi alla bocca una mela immaginaria (stavano facendo l'esercizio “il sacerdote coglie una mela”). “Lo riceverò tra breve.”
“Si, Cesare.”
“Ora chiudi la porta.”
“Si, Cesare.”
Il vecchio lanciò un occhiata velenosa a Wu, e si eclissò dietro le grandi porte.
Finirono la forma. Invictus fece qualche passo e arcuò un pochino la schiena.
“Va un po' meglio, serico.”
“Ne sono lieto, Cesare.”
L'imperatore posò di nuovo su di lui il sguardo: pensieri e decisioni rapide turbinavano dietro quegli occhi scuri.
“Torna domani.” disse infine “Ma prima. All'alba.”
“Si, Cesare.”

Fuori incrociò un uomo dalla carnagione scura pieno di polvere, probabilmente la polvere della lunga strada che separava Roma dalla Libia.
“Serico, vieni qua.” Il vecchio che sembrava una prugna l'aveva fermato. Lo scrutava.
“Che cosa stavate facendo, là dentro, tu e il divino Cesare?”
“Esercizi per il mal di schiena, signore.”
Il vecchio Gratianus continuò a fissarlo per qualche momento.
“Puoi andare.”
“Vale, signore”

Il giorno seguente Wu si svegliò prima del solito, ma senza sforzo, naturalmente. Aveva bisogno di sempre meno sonno.
Accese il fuoco, scaldò l'acqua per il tè, e poi uscì nella notte di Roma, che si schiariva sui bordi.
Mentre camminava, vide le assi di un negozio aprirsi e poi un altra, e un altra ancora. Era come se la città, ancora sonnacchiosa, stesse aprendo uno ad uno i suoi mille occhi. Già si aggiravano gli schiavi con le consegne.
Marius Invictus non lo aspettava nella sala nel trono stavolta, ma in cortile tra le colonne, con al centro una fontana e una statua di donna. L'imperatore, vestito d'una tunica bianca ricamata d'oro, era in piedi vicino alla fontana, pensieroso; aveva lo sguardo basso e le mani dietro la schiena.
“Ave, Cesare.”
“Sbrighiamoci, Wu. Non ho molto tempo.”
Wu cominciò a spiegargli che con alcuni movimenti doveva inspirare e con altri bisognava buttare fuori l'aria. Così al ritmo del loro respiro, l'alba tinse di rosso i cieli di Roma, finché il sole non fu splendente nel cielo e li illuminò tra le colonne; Wu e l'imperatore proiettavano lunghe ombre strane, perché l'alba li trovò nella complicata posizione de “il drago si guarda la coda”.
Quando Wu disse “per oggi può bastare” l'imperatore respirò a pieni polmoni l'umida aria del mattino. Guardò il sole troppo alto nel cielo, aveva impegni che lo aspettavano. Concentrato, non si era reso conto del passare del tempo.
“ Puoi andare.” disse infine, l'imperatore, fissando la propria mano “Ritorna domani alla stessa ora.”
Wu annuì.
“Si, Cesare.”
Mario Invictus guardò il vecchio serico allontanarsi con la sua logora tunica. Quando se ne fu andato, chiamò
“Maculatus.”
Da dietro le colonne uscì un pretoriano. Aveva una grossa voglia rossa sulla faccia, e l'aria furba e guardinga.
“Si, Cesare.”
“Maculatus, scopri tutto quello che c'è da sapere su di lui. Mi farai rapporto stasera.”
Maculatus sorrise, soddisfatto. Quell'incarico significava girare per tutta Roma, mentire, corrompere, minacciare. Uno spasso.
“Si, Cesare!” disse con entusiasmo.

Uscendo, Wu incrociò Gratianus, la prugna secca, con il militare con la cicatrice sul collo, che si dirigevano verso il cortile.
“L'imperatore ora la riceverà, Caius Flagellus.”
“Era quasi ora! Cosa stava facendo, per Giunone?”
Gratianus si incupì. “L'Imperatore stava facendo preziosi esercizi per il mal di schiena che lo affligge.”
“Ah, è come dico sempre, sta diventando vecchio e rammollito. Roma ha bisogno di gente forte! Roma ha bisogno di gente nuova!”
“Non siamo in senato, Flagellus” disse Gratianus “puoi risparmiarti il comizio.”
“Puah” disse il militare, sputando sui marmi del pavimento “Posso capire che non ti piacciano i discorsi sul nuovo, Gratianus. Non ne fai certo parte. E quest'altro vecchio chi è?” disse scorgendo Wu che camminava con le mani dietro la schiena, lo sguardo basso. “Spostati, serico.” intimò, e per buona misura gli tirò uno schiaffo. .
O almeno ci provò. Wu imitò i monaci della via, che sempre camminano in cerchio, e la mano di quell'arrogante soldato colpì l'aria. Wu era ora alle loro spalle, e continuò a camminare tranquillamente verso l'uscita.
Gratianus e Caius si voltarono a guardare il serico. Nessuno dei due aveva capito esattamente cosa fosse successo.

Al foro, Graccus lo aspettava con un grosso sorriso sul faccione.
“Guarda un po' chi si vede, il favorito dell'imperatore. Avete ancora tempo per un povero senatore, Wu il Grande?” disse, inchinandosi.
Wu sorrise. Non lo stupì che Graccus fosse già venuto a conoscenza della cosa, Graccus sapeva sempre le cose prima degli altri. Facevano la fila la mattina presto, fuori dalla sua casa, per venire a riferirgli informazioni, perché Graccus pagava bene.
“Non conosco nessuno che ami scherzare più di te, Graccus.”
“Bah,” disse Graccus, accarezzandosi la pancia “sbagli a trattare la cosa come se fosse uno scherzo, Wu della gens Youmea. Tutto ciò che riguarda l'Imperatore è serio, e pericoloso. Se fossi in te comincerei a far assaggiare il mio riso a qualcun altro, prima di mangiarlo. E la sera, prima di coricarmi, verificherei l'eventuale presenza di serpenti, nel letto.”
“Stai esagerando, Graccus.”
“Dici?” gli disse, inclinando un poco il capo “Vieni, ingenuo. Ti voglio far assaggiare un vino falerno che farebbe resuscitare i morti.”

Maculatus si aggirava per la città serica. Un vecchio cieco suonava chissà quale strumento, e lo stridìo delle corde gli stava facendo venire mal di testa.
Sputò nella polvere. Dove cominciare?
Si avvicinò a un commerciante smilzo e anziano, che aveva una taberna di frutta.
“Desiderate qualcosa?” disse il vecchietto sorridendo. Parlava in latino, ma con lo strambo accento dei serici “Abbiamo delle mele molto buone. Poco prezzo.”
“Mmh” disse Maculatus. Prese una mela e la scrutò. “Ha un bell'aspetto davvero.”
“Si” confermò il vecchietto sempre sorridendo. “Poco prezzo.”
“Senti, conosci per caso un certo Wu Youmei? Dovrebbe abitare qua intorno.”
Il sorriso del vecchietto morì un secondo, e poi tornò ma più tirato.
“No, non conosco. Volete le mele? Prezzo molto buono.”
“Sicuro?” disse Maculatus, poggiando un grosso sesterzi sopra al bancone “pagherei bene il disturbo.”
“Sicuro, non conosco” ripeté il vecchio. “E ora se volete scusare me, io devo..”
Maculatus estrasse il gladio e lo posò sul bancone.
“Pensaci bene.” disse.

Wu infilò il mestolo in una grossa giara. Ne tirò fuori un vino denso, anche se già allungato. Lo annusò, ne bevve un sorso. Allora i suoi occhi si spalancarono e cercarono Graccus.
Il senatore rise.
“Non male, vero? Sembra che Bacco stesso ci abbia messo lo zampino.”
Cominciò a contrattare con il commerciante, un uomo secco e cupo che dichiarò immediatamente che non sarebbe sceso sotto i 20 sesterzi ad orcio neanche se Giove in persona gliel'avesse chiesto. Evidentemente, pensò Wu, non conosceva Graccus.

Marius Iulianus Invictus sedeva sul trono, e non era di buon umore. Aveva un problema, e questo problema si chiamava Caius Flagellus. Dopo il suo successo delle sue campagne in Britannia, e il suo trionfale ritorno a Roma, era diventato prima un fastidio e poi una preoccupazione.
Oggi aveva dato un delirante discorso in senato che era tuttavia molto chiaro, per chi voleva capire, tutta una lunga e concitata dissertazione sul nuovo (cioè trovare un sostituto a Marius Invictus, chissà chi) che guarda al vecchio (cioè ridare potere al senato come nella vecchia repubblica). Il senato aveva ovviamente applaudito: il discorso era abbastanza generico da poterlo fare senza che la cosa potesse sembrare insubordinazione. Anche se puzzava come un cane, Flagellus era furbo come una lince.
Interrogato su per quanto tempo ancora avesse intenzione di tenere le sue legioni così vicino a Roma, Flagellus aveva risposto che “stava facendo delle importantissime esercitazioni, e comunque, non è male avere delle truppe vicino alla capitale, in questi tempi difficili”.
Il senato (o almeno uno buona parte di esso) condivideva la sua opinione, naturalmente. Appoggio del senato, truppe appena fuori Roma e il popolo che lo idolatrava dopo le vittorie in Britannia. C'era veramente di che preoccuparsi.
Bussarono alla porte.
“Avanti.”
Vericrinus, l'effeminato, entrò e si produsse nel suo ridicolo saluto militare.
“Ave Cesare. Il pretoriano Maculatus chiede di vedervi.”
“Fallo entrare, e chiudi la porta.”
Vericrinus sparì e lasciò il posto al pretoriano, alla sua voglia in faccia e alla sua faccia da furfante.
Cesare si chinò in avanti, sul trono.
“Cosa hai scoperto, Maculatus.”
“Ho passato quasi tutti la giornata nella Civitas Serica, Cesare, e non è stato facile farmi dire qualcosa, sono tutti molto abbottonati. Ma gladio e sesterzi sono una combinazione potente. ”
“Dimmi.”
“Allora, Wu Youmei Sericus è arrivato a Roma da piccolo, con il padre. Quest'ultimo è morto poco tempo dopo. Wu è stato allora adottato da un vecchio sericus, un certo An Komei o una cosa così, che a quanto ho capito era una specie di medico. Comunque il vecchio ha cresciuto Wu e gli ha lasciato qualche soldo quando è morto, ma Wu non ha continuato il mestiere del suo padre adottivo, a parte qualche volta pro bono, o a caro prezzo se si trattava di spennare qualche ricco serico commerciante in seta. Sembra passi le sue giornate sulle pergamene, oppure facendo quei bizzarri esercizi che fa con voi in uno spiazzo della civitas serica; altrimenti è al foro e alle terme con Graccus Vitalius Rubeo, con cui sembra essere in ottimi rapporti.”
“Lo so.”
“Graccus è anche il suo datore di lavoro: il Sericus traduce per il senatore e per alcuni suoi amici dei testi nella sua lingua.”
“E riesce a mantenersi con questo?”
“Beh, Cesare, come ho detto il patrigno gli ha anche lasciato qualcosa; inoltre vive in maniera molto morigerata, anche se ha una debolezza per il mangiare e il bere bene. Ah, e non paga l'affitto.”
“Cosa?”
Il pretoriano sorrise. Amava raccontare una bella storia; spesso nella taverne, si metteva a raccontare storie di queste e quelle campagne, e quando catturava l'attenzione, magari con la mano sul sedere della cameriera, si sentiva felice.
“Si Cesare. Il portiere del palazzo dove vive Wu dice di aver ricevuto ordini chiari, in merito: deve lasciare in pace il Sericus e non chiedergli l'affitto, ordini dell'amministratore, un certo Peregrinus, un intrallazzatore.”
“E come mai?” disse Cesare, appoggiando il gomito sul bracciolo e la testa sulla mano..
“Cesare, ho chiesto in giro, e l'unica spiegazione che ho trovato, e che abbia una senso, beh, è incredibile.” disse il pretoriano, grattandosi la testa.
“Prosegui, Maculatus. Non ho tutto il giorno.”
“Si Cesare, stavo solo dicendo riporto solo quello che sono riuscito a scoprire ma che mi sembra assurdo. Comunque. Peregrinus è l'amministratore dell'insula dove vive Wu, ma il padrone di casa del Sericus è Gaius Corianus Minnone, che tempo fa si era inimicato Marcellus Claudius a causa di...”
“Conosco la storia.” lo interruppe Cesare “Vai avanti.”
“Si Cesare. Sembra che un giorno Minnone e il suo servo si fossero attardati in un bordello dell'Esquilino. E che sulla strada verso casa abbiano casualmente incontrato il serico Wu, forse proveniente dalla casa di Graccus, che abita in quella zona. Il serico ha salutato il padrone di casa, ha insistito perché facessero un pezzo di strada insieme, e ha chiesto una dilazione sul suo pagamento dell'affitto. Il padrone di casa ha avuto il tempo di rispondere sdegnato che non si occupava degli affitti quando tre uomini sono sbucati dal nulla e armati di gladio hanno assalito Minnone.”
“...”
“...”
“Maculatus, giuro che se fai un'altra pausa drammatica sarai la prossima attrazione del Colosseo.”
“Perdono, Cesare. Il servo di Minnone ha avuto i riflessi pronti e così ha visto la scena da una certa distanza, e sostiene, Cesare, sostiene che il serico abbia messo in fuga da solo i tre assalitori.”
“Era armato?”
“No, Cesare. O almeno, così dice il Servo. Minnone (che era a terra con la testa tra le mani) si è tirato su e gli ha promesso che non avrebbe più dovuto pagare l'affitto. Era una storia così incredibile che ho tirato fuori il gladio, Cesare, voi capite, io non mi faccio prendere in giro, ma anche con la lama alla gola il servo ha giurato e spergiurato che si trattava della verità.”
“...”
“...”
“Comunque non ci credo, Cesare, e l'ho riportata solo per completezza nel rapporto.”
“...”
“...”
“Grazie Maculatus, puoi andare.”
“Cesare.”

Rou, il macellaio della città serica, stava smembrando un maiale con grossi colpi di mannaia, spezzando ossa e lacerando legamenti, quando sentì un gridare di bambini nella strada.
“Wu! C'è Wu!”
“Wu raccontaci una storia!”
“Wu!”
“Delinquenti! Disgraziati!” gridò Rou, gesticolando con il coltello. “Lasciate in pace il maestro Wu!”
Wu scosse la testa.
“Lascia stare, Rou. Come sta tua moglie?”
Rou si inchinò leggermente. Gli abitanti della città serica avevano sempre trattato Wu con rispetto, ma ora nel salutarlo sfioravano la deferenza e (alcuni) perfino il timore. Il maestro Wu è così saggio, dicevano, che persino l'imperatore lo ascolta.
“Sta bene, maestro Wu.” disse Rou “Anche se da quando me l'ha aggiustata, è ritornata a borbottare e lamentarsi proprio come prima.” Con il braccio si asciugò il sudore della fronte. “Me la ri-romperebbe, per favore? Era meno fastidiosa.”
Wu sorrise.
“Rou, è meglio che tu stia attento, se ti sente, dovrò venire ad aggiustare te.”
“Wu!” insistevano i bambini “raccontaci una storia.”
“Delinquenti! Sparite!”
Wu guardò il più piccolo di loro.
“Tu sei Zhi, il figlio di Zhang, vero?”
Il piccolo annuì. Erano tutti sporchi, laceri e malnutriti.
La maggior parte degli abitanti della Civitas Serica avevano attraversato il mondo, spinti dalle dispense vuote delle loro case natali, e dalle voci su Roma, la capitale del Da Quin, città di marmo e d'oro; alcuni addirittura confondevano il Da Quin con le leggendarie Terre dell'Ovest, dove dimora il Buddha; e invece, arrivati, la maggior parte di loro trovava, dopo molte miglia e un cammino pericoloso, una miseria non dissimile da quella che avevano lasciato. In più, unica tra le mille genti di Roma generosa, venivano discriminati in quanto “Seres”, popolo della seta, corruttore di costumi.
Il piccolo Zhi lo guardò imbronciato.
“Wu, ce la racconti una storia o no?”
“Tuo padre non ti ha insegnato a rispettare gli anziani?” gli disse Wu duramente. Il piccolo abbassò gli occhi. Wu sospirò e si inginocchiò.
“Conoscete la storia di Mazu, dea del mare?”
I bambini si guardarono, e poi scossero tutti la testa.
“Dovete sapere che Mazu non era sempre stato una dea, ma prima di diventarlo era una donna, anzi, una ragazza, così abile nel nuoto che indossava vesti rosse per guidare a casa le navi dei pescatori, anche quando il mare era in tempesta...”
Poco lontano il suonatore cieco di guqin percuoteva le corde del suo strumento; la musica che ne traeva ricordava un fiume impetuoso.


“Serico, ho una domanda.”
“Si, Cesare.”
Erano passate alcune settimane dalla loro prima lezione, e Marius Invictus era già molto più rilassato, i suoi movimenti più fluidi. Inoltre, c'erano stati dei piccoli cambiamenti. Lo chiamava ancora “Serico”, ma quel “ho una domanda” era la cosa più simile al chiedergli il permesso di parlare che Wu gli avesse mai sentito.
“Quella cosa che hai fatto la prima volta che sei venuto qua.” disse Cesare. “Che cos'era?”
“Chiedo perdono, Cesare, non sono sicuro di comprendere.”
“Quando ti ho tirato un pugno, o meglio, quando ci ho provato. Quella cosa che hai fatto. Che cos'era?”
Il maestro Wu guardò l'imperatore e inclinò un po' il capo. Erano tra le colonne bianche del cortile, l'acqua della fontana faceva un suono fresco, e il sole stava emergendo dalla terra. Nel Libro dei Mutamenti, quel momento era rappresentato dall'esagramma 35, “il sole sorge sull'oscurità” che rappresenta il progredire, la crescita. Gli sembrò appropriato.
“Cesare, perdonate, è quello che stiamo facendo. Quello che abbiamo provato insieme in queste settimane. In effetti, abbiamo ripetuto quel movimento specifico alcune volte, ormai.”
“Questo? Questi movimenti sono quella cosa che hai fatto tu?”
“Si, Cesare.”
“Credevo fossero esercizi per il mal di schiena.”
“Esercizi per il corpo, per la mente, per agire senza agire, come dicono i testi, e persino per affrontare i malintenzionati. Con questi esercizi noi torniamo a ciò che è naturale e giusto, torniamo alla Via.”
“La via?”
“La Via, Cesare.”


Seduti sui buchi di una lunga lastra di marmo, in una latrina pubblica, Wu e Graccus conversavano. Era la loro latrina preferita, perché il marmo era riscaldato e molto piacevole.
“Senti Wu, sto cercando di organizzare qualcosa di nuovo per stupire degli ospiti ad una cena. Stavo pensando, conosci qualcuno che suoni quello strumento serico di cui mi hai parlato, il cuchin, il ...”
“Il guqin. Si ne conosco uno, Graccus. C'è un vecchio cieco che suona il guqin nelle strade della città serica.”
“Perfetto” disse Graccus, sfregandosi le mani. “Scommetto che non hanno mai visto niente del genere!”
“Però dovrai fargli fare bagno e testamento, Graccus.”
“Per il bagno nessun problema, ma perché testamento? È così vecchio?”
“No, è che è un mendicante, e alla vista del tuo banchetto potrebbe avere un mancamento” disse serio Wu.
“Ah” fece Graccus, compiaciuto “sei uno spasso Wu Youmei!” e gli diede una fastidiosa pacca sulla spalla.

Wu e Graccus giacevano sui triclini, e guardavano il soffitto.
La cena era andata a bene, anche Wu era stato invitato e la sua presenza (e la sua logora tunica) avevano inizialmente creato un po' di scompiglio. Ma quando Graccus l'aveva chiamato “il mio buon amico Wu, che sta trattando l'imperatore per il suo brutto mal di schiena” gli uomini togati e le matrone imparruccate lo avevano prima guardato in un modo assai diverso, e avevano poi cominciato a lamentare reumatismi, dita deformi, ginocchia che non funzionavano bene, e ogni altro malanno: ognuno di loro avrebbe ucciso per poter dire di essere stati curati dalla stesse mani che toccavano l'imperatore.
Poi la cena vera e propria era cominciata, e al suono del guqin di Lin, il vecchio suonatore, gli invitati si erano abbondantemente saziati di mammelle di mucca e di altre prelibatezze, i cui resti avevano poi gettato sul pavimento (era un'usanza a cui Wu non si era mai abituato, ma Graccus gli aveva spiegato che gettare a terra gli avanzi simboleggiava la discesa nel mondo dei morti).
Ora tutti gli invitati erano a casa loro o in qualche letto della casa, compreso il vecchio Lin, che aveva fatto indigestione e si era sentito poco bene.
Rimanevano solo Wu, Graccus, e un orcio di vino falerno.
Sazi, fissavano il soffitto. Wu aveva, in effetti, mangiato un po' troppo, o meglio, era ad un boccone dall'aver mangiato troppo: il perfetto equilibrio tra vuoto e pieno. Innaffiava questo equilibrio con ancora una goccio di vino.
“Graccus, ti ho mai parlato del mio maestro, Han Koumei?”
“Qualche volta” disse Graccus lentamente, guardando il fondo della sua coppa “ma sempre a quest'ora e quindi non me ne ricordo molto. Parlamene pure, Wu della gens Youmea.”
“Era un bastardo” continuò Wu, fissando il soffitto, le mani incrociate sullo stomaco “gli ho fatto da schiavo per tutta l'infanzia. Appena si alzava dovevo corrergli a svuotargli il vaso da notte perché diceva che l'odore di urina gli dava fastidio. Se non ero sveglio prima di lui, mi rovesciava addosso il vaso.”
Graccus rise.
“Si, mi sembra di ricordare questo pezzo.”
“Gli spazzavo la casa. Gli cucinavo. E nell'ultimo periodo lo alzavo e lo rimettevo a letto, lo lavavo. E mai una parola gentile, mai che mi desse una minima dimostrazione dell'essere contento di vedermi. Mi ha insegnato tutto quello che so, ma ancora...”
“Beh, era il tuo maestro, giusto? Neanche io ricordo una parola gentile dello schiavo che mi insegnava il greco, solo le bacchettate se non mi ricordavo il terzo canto dell'Odissea.” Storse la bocca e si avvicinò la coppa al volto “Maledetto terzo canto.”
“Si” continuò Wu “mi prese con sè dopo che quel sognatore di mio padre era morto. Ricordo ancora qualche frammento del viaggio per arrivare qua.” il suo sguardo divenne distante. “Il deserto, delle montagne, un coniglio intagliato nel legno per farmi star buono. Andiamo alla capitale del Da Quin, mi diceva. Là faremo fortuna, ha i tetti d'oro e il Buddha cammina per le strade.” Scosse la testa. “E invece è morto poco dopo essere arrivato qui, una malattia dei polmoni. Riuscimmo a mettere insieme abbastanza soldi perché quel vecchio bastardo si degnasse a venire a dare uno sguardo a mio padre. Dichiarò subito che mio padre sarebbe morto e che avrebbe potuto solo alleviargli il dolore.”
Wu tacque. Ricordava ancora suo padre che si lamentava, vicino ad una fiaccola, e il vecchio Han chino su di lui che gli faceva bere qualcosa. Quando finalmente le sofferenze di suo padre finirono, il vecchio si alzò e lo guardò: aveva una lunga barba bianca che si passava e ripassava tra le mani. A Wu il vecchio Han sembrava terribile, con il suo odore strano e la sua familiarità con la morte.
“Il vecchio Han mi disse che i soldi che gli avevamo dato non bastavano” continuò Wu “e che per ripagarlo avrei dovuto lavorare per lui.” Bevve ancora un sorso di vino dalla coppa. “Mi stava salvando dalla fame, e riuscì a farlo passare come la riscossione di un debito.” scosse la testa. “Mi chiedo ancora perché mi prese con sè.”
Graccus si sollevò un poco sul triclino, guardò Wu, e si versò ancora un po' di vino dalla caraffa.
“Forse si sentiva solo.”

“Cesare, oggi non siete concentrato.”
“Dannazione” disse Cesare, abbandonando la forma e la posizione (“Suonare il flauto”, espirare, yang), e mettendosi a camminare in cerchio come un avvoltoio. “È quel maledetto di Caius Flagellus, che Giove maledica quello sfregiato. Mi è andato contro anche ieri, in Senato, ed è sempre più arrogante nel farlo.” Marius Invictus gesticolava mentre camminava, sembrava non parlare a nessuno in particolare. “Ha l'appoggio del Senato, di una parte almeno, e non posso punirlo perché le sue legioni sono accampate qui vicino, dannazione. Mi ricordo quando io ero generale e mossi contro...” si bloccò, e guardò Wu. Sembrava ritornato in sè, e il suo sguardo era di nuovo di acciaio scuro.
“Abbiamo finito per oggi, Wu.”
“Sì, Cesare.”
“Puoi andare.”
“Cesare.” disse Wu. Mario Invictus lo guardò allontanarsi. Chinò il capo: come aveva potuto sbottonarsi così tanto con il Serico?
“Cesare?”
“Si?” disse, alzando la testa di scatto. Wu era in piedi vicino alla porta, e lo guardava.
“Cesare, ricordate quando abbiamo parlato della Via, e di ciò che noi chiamiamo “yin” e “yang”?”
“Vuoto e pieno, caldo e freddo, quella roba là?”
“Si, Cesare. Noi crediamo che se qualcuno ti muove contro, se qualcuno è “yang” verso di te” ed alzò un pugno “e anche tu sei yang” alzò l'altro, e li sbatté l'uno contro l'altro “si finisce solo per farsi male entrambi. Ma se tu sei yin” aprì la mano sinistra e afferrò il polso della sua mano destra “puoi portare via il tuo avversario dove non può farti male, e controllarlo.” e si piegò il suo stesso polso.
Cesare non disse niente. Aveva ancora le braccia conserte, e il suo volto era tornato ad essere impenetrabile.
“È tutto, Wu?”
“Si Cesare.”
“Puoi andare.”
“Si Cesare.”

Nei giorni seguenti non accennarono più all'accaduto, ma la concentrazione di Cesare sembrò aumentare, e così il suo impegno. Marius Invictus sembrava mettere la sua notevole determinazione ad imparare le basi di un'arte barbara di un popolo conquistato.
Infine, un giorno che Cesare sembrava particolarmente di buon umore, alla fine di una sessione particolarmente ben riuscita Mario Invictus gli disse:
“Credo di doverti ringraziare, Wu.”
“Cesare?”
“E non mi riferisco a questo. Quello che mi hai detto la scorsa settimana mi ha aiutato a trovare la soluzione al problema Caius Flagellus. L'ho promosso.”
“...”
“L'ho fatto diventare governatore della terra dei tuoi padri, Wu, e per la precisione, della sua parte più orientale. Un punto chiave dell'impero, capisci, Caius dovrà difendere i nostri confini e i nostri interessi nella coltivazione della seta e del riso, nessuno più adatto di lui.” Mario Invictus rise. “Ah, la faccia che ha fatto quando gliel'ho detto,Wu! È un incarico, prestigioso, non può rifiutarlo. Domani stesso raccoglierà le sue legioni e partirà.”
Tornò serio.
“Sono in debito con te. Non amo essere in debito. Cosa vuoi come ricompensa?”
“Non credo di aver fatto niente che meriti...”
“Non sto chiedendo, Wu” lo interruppe Cesare. “Cosa vuoi? Un pezzo di terra fuori Roma? Una schiava?”
“La schiavitù è consentita ma non incoraggiata nei nostri costumi, Cesare. E preferirei continuare a vivere a Roma.”
“Allora che cosa vuoi, Wu.”
“Se posso parlare liberamente, Cesare...”
“Permesso accordato. Cosa?”
“Soldi, Cesare.”
Stupito, Marius Iulianus Invictus si esibì in un'altra risata.
“Non ti facevo un tipo venale, Wu.”
“Avere soldi mi consente di non preoccuparmene, Cesare.”
“Più che giusto” disse Cesare, dandogli una grossa pacca sulla spalla che mise Wu a disagio “più che giusto.”

Facendo un rapido calcolo, la somma che Cesare gli diede equivaleva a dieci anni di paga di un legionario. Wu corse a portarla a casa di Graccus, che la mise nel suo sfarzoso forziere, che si trovava in bella vista nell'atrio come era usanza romana; gli consegnò tutta la somma, tranne il necessario per comprare una bella veste di sete alla vedova Han (nelle cui grasse carni passava molte oziose domeniche), e per parzialmente sdebitarsi con Graccus delle sue squisite cene offrendogli un 
prandium in una popina che piaceva molto ad entrambi. Graccus si concesse anche una sveltina con la cameriera, al piano di sopra (si sentì tutto), e poi tornò soddisfatto levandosi i pezzetti di carne dai denti con uno stuzzicadenti d'argento.
“Grazie mille Wu, era tutto ottimo. Anche il vino.”
“Non ai livelli del tuo vino falerno, temo.”
“No” ammise Graccus “ma quella è una rara avis in terra. Ma ripeto, ottimo pranzo.”
“Si, è stato buono.”
Graccus posò lo stuzzicadenti d'argento sul tavolo.
“A costo di ripetermi, Wu, stai attento.”


Wu e l'imperatore si allenavano nella stanza del trono, perché pioveva. Marius Invictus, stava migliorando in maniera notevole, e stava cominciando a padroneggiare alcuni concetti che dovevano essere veramente “barbari” per lui, come il Qi, l'energia che scorre dentro di noi come dentro ad ogni cosa. E, soprattutto, cominciava ad essere più morbido, e non solo nei movimenti.
“Wu devo andare al nord.” gli rivelò infine Invictus “Interromperemo le lezioni per qualche tempo.”
Wu annuì.
“Si Cesare.”
“Ti manderò a chiamare io quando ricominceremo.”
“Si Cesare.”
“... Continuerò ad esercitarmi.”
Wu annuì di nuovo.
“Bene, Cesare.”

“Cesare non mi convince, intendo questo Serico,”disse Gratianus la prugna, mentre Marius Invictus faceva gli ultimi preparativi prima della partenza. “Come facciamo a sapere se è veramente leale, se non è una spia, in fondo è solo un barbaro. E dovete vedere cosa ha fatto, una volta che Caius Flagellus ha cercato di colpirlo, sembrava una stregoneria...”
“Gratianus taci.”
“Ma Cesare, io dicevo solo per..”
L’imperatore posò gli occhi su di lui. Si era appena lavato e si stava asciugando. Posò il panno.
“Gratianus, non amo ripetermi.”
“...Si, Cesare.”


Wu tornava dall’ennesima cena a casa di Graccus, ed era leggermente brillo. Un seguace della Via non dovrebbe eccedere nel vino, ma ah! Quel vino falerno. Entrò nella sua palazzina, salutò con un cenno del capo l’ex legionario che faceva da portiere, e salì su su fino ad arrivare quasi in cima: erano le scale della miseria. Più si saliva, più si era poveri.
C’era qualcuno a casa sua.
La sua respirazione cambiò bruscamente, come cambia il mare all’improvviso. Il vino falerno evaporò. Roma era pericolosa e non andava sottovalutata.
“Calmati, Wu Youmei.” disse qualcuno nella lingua originale dei suoi padri, completamente priva dell'accento di Roma.
Wu varcò la sua misera soglia. Dentro c’erano tre uomini, giovani, vestiti all’orientale e con una lunga treccia.
“Chi siete?” chiese il maestro Wu nella stessa lingua.
“Oh” disse l’uomo sulla destra “ma allora ricordi ancora qualcosa del Celeste Impero.”
“Piantala, Hou.” disse l'uomo al centro “Siamo qui per chiedere il suo aiuto.” Unì il pugno destro al palmo sinistro, e si inchinò leggermente.
“Perdona la nostra intrusione, maestro Wu. Ma la nostra missione è segreta e volevamo incontrarti lontani da occhi indiscreti.”
Wu li guardò, in particolare quello che aveva appena parlato. La respirazione, il portamento, e il suo Qi in generale, erano impressionanti. Nel buio quasi brillava.
“Preparo del tè.” disse.

In silenzio, aspettarono che l’acqua bollisse, e che le piccole foglie secche la tingessero.
L’uomo dall’energia incontenibile bevve un sorso, di cortesia, poi poggiò la tazza. Era visibile che altro occupava i suoi pensieri.
“Io sono Long, lui è Hou, e lui è Ma” disse indicando il terzo componente del gruppo, un tipo con la faccia da cavallo che non aveva aperto bocca. “Ci manda l’imperatore.”
“L’Imperatore?” disse Wu, pensando a Marius Invictus.
“L’imperatore.” Ribadì Long, e dai vestiti estrasse un sigillo di giada, raffigurante un drago.
Gli occhi di Wu si spalancarono. Parlare con chi deteneva il sigillo era come parlare con l’imperatore del Tianxia. Wu si inchinò profondamente.
“Però,” disse l'arrogante Hou “chi l’avrebbe detto, nato e cresciuto nel Da Quin.”
“Ho detto piantala, Hou”
Ancora chino, Wu disse rispettosamente.
“Non sono nato nel Da Quin. Mio padre mi ha portato a Roma da piccolo, e il maestro Han Koumei mi ha insegnato i costumi della terra dei miei padri.”
“Vedo, maestro Wu. Ora ti prego, sollevati.” Long mise via il sigillo.
“Posso chiedere perché l’Imperatore vi manda a Roma?”
Long esitò, e sospirò.
“Per distruggerla.”


“L’Imperatore (il vero Imperatore) governa ancora in Cina, Wu, ma dipende da Roma. Investito dal Cielo, di fatto non regna sul suo popolo.”
Wu non parlava.
“Su ordine dell’Imperatore Celeste” continuò Long “siamo venuti a uccidere il falso imperatore, e a bruciare Roma. Non siamo soli, ma non vedrai mai gli altri. Questa città è tutta di legno, appiccando l’incendio con attenzione, e piazzando barili di polvere da sparo nei punti giusti, nel giro di un giorno e di una notte potrebbe non rimanere più niente.”
Wu lo guardava.
“Ma affinché il piano abbia successo dobbiamo uccidere il falso imperatore.” Long batté il dito sul tavolo “Sembra che tornerà a Roma tra tre giorni. Sicuramente ti chiamerà come ti ha sempre chiamato. A qual punto, tu lo ucciderai, nel nome dell’Imperatore.”
Wu bevve un poco di tè. Era quasi freddo, posò la tazza. Long, Hou, Ma. Significavano “Drago”, “Scimmia”, e “Cavallo”. Improbabile che fossero i loro veri nomi.
“Voi siete seguaci della Via?” chiese.
Long sembrò colto alla sprovvista dalla domanda.
“No” disse rispettosamente. “Seguiamo gli insegnamenti del maestro Kong.”
“Se voi date fuoco a Roma, molte molte persone moriranno. Il maestro Kong non disse forse ‘mai imporre agli altri ciò che non sceglieresti per te stesso”? Non è forse l’umanità, il Ren, il primo dei vostri principi?”
“Giustamente viene chiamato dotto Wu Youmei” rispose Long “Ma sicuramente conoscerai i cinque legami, di cui il primo è quello che lega chi comanda a chi è comandato. Questi sono gli ordini dell’Imperatore, e per il primo dei cinque legami dobbiamo obbedire.”
“L’imperatore... intendo Invictus” continuo Wu “sta imparando molto. Lentamente, sta imparando a conoscere il nostro modo di vedere le cose. E sta imparando a governare se stesso, proprio come insegna il maestro Kong…”
“Che ne sa questo seguace di Lao Tsu di ciò che insegna il maestro Kong?” sbottò Hou “Questo.. questo… romano!”
“ Hou, ti ho detto di tacere!” gridò Long, voltandosi e gridando. Dagli appartamenti intorno giunsero proteste e insulti.
“Perdonami maestro Wu. Ma non abbiamo molto tempo. Alla fine la domanda che ti pongo e di cui ci serve una risposta è questa. Farai ciò che il tuo imperatore ti ordina?”
Wu esitò.
Long lo scrutò, e poi tirò nuovamente fuori dalle vesti il sigillo imperiale.
Wu chinò il capo e si inchinò.
“Hai” disse. “Sì”, disse.

I tre ospiti se ne andarono e Wu rimase da solo. Impossibile dormire. Passò la notte a ripassare le forme, cercando quiete. Ne trovò un po’ verso l’alba, e finalmente si addormentò.

“Benvenuto, Cesare” disse il 
legatus, quando Marius Invictus entrò nella tenda. Il legatus a capo di quelle legioni era un iberico basso e tarchiato, che Invictus giudicava affidabile ed esperto, anche se non molto brillante: più un difensore che un conquistatore. Si chiamava Antonius.
“Sì sì.” tagliò corto l'imperatore “Allora, i barbari vi stanno mettendo in ginocchio, eh?”
“I loro cavalieri hanno un forte impatto, Cesare.” ammise il legatus. “Travolgono le nostre legioni.”
“Mh. Quali sono i piani per la battaglia di domani?”
“Ecco la mappa Sire.”
Marius Invictus si chinò sul tavolo e studiò i segni, accompagnandosi con le dita.
“...Siete impazziti?”disse voltandosi.
Il legatus cercò di parlare ma non fece in tempo.
“Ma non abbiamo nessun vantaggio tattico!” continuò l'Imperatore “Il numero è pari e la loro cavalleria ci ha già spazzato via più di una volta. E questo è il meglio che siete riusciti a fare? ”
“Il terreno ci è sfavorevole, Cesare. Non ci sono alture. Non possiamo appostarci in luoghi elevati. Nessun fiume, nessun..”
“Si ho capito.” lo interruppe nuovamente Invictus “mmh. Vuoti e pieni.”
“Come, Cesare?”
“Niente. Silenzio.”
“...”
“...”
“...”
“...”
“...”
“...”
“Bene,” disse infine “ecco quello che faremo. Domani quando la cavalleria attaccherà, voglio che il centro crolli, va bene? Le ali devono resistere ma il centro deve crollare. Ovvero deve arretrare, ma che sembri una ritirata. L’esercito intero indietreggerà in fuga, per 50 passi, si lo so, Antonius, subiremo qualche perdita, ma poi ci volteremo, la parte centrale si spezzerà e ruoterà così, come un cancello che si apre, e con l'aiuto delle ali li prenderemo in mezzo. La loro forza si abbatterà dove noi non faremo resistenza, e una volta esaurita li schiacceremo. È tutto chiaro?”
“...”
“Allora, è chiaro?”
Antonius guardava la mappa, cercava di vedere ciò che Cesare voleva fare. Infine alzò gli occhi.
“Cesare... è geniale, ma una simile manovra non è mai stata provata.”
“Allora sarà meglio che gli uomini comincino a provarla subito, non credi?”
“Si Cesare.”
“E mi raccomando deve sembrare una ritirata. La guerra si fonda sull’inganno.”
Antonius annuì.
“Splendida massima, Cesare.”
“Non l’ho detto io, Antonius, l’ha detto un serico ottocento anni fa. E ora muoversi!”

Nei due giorni che precedettero il ritorno dell’imperatore, Wu evitò Graccus. L’amico gli avrebbe letto in faccia che qualcosa non andava, e Wu non era mai stato abile a mentire. Accusò malattie immaginarie, e Graccus mandò rimedi. Sarebbe stato così gentile, se avesse saputo cosa stava per fare?
Girò molto per Roma, da solo. Roma maleducata, confusionaria, con i suoi getti di piscio dalle finestre e le urla continue, le strade piene, le spinte, i ladri. Roma viva. Roma, che aveva quell’odore particolare nel mattino umido. Roma dai templi splendenti, Roma che accoglieva tutti, Roma che si innamorava ora della Grecia, poi dell’Egitto, e ora lentamente perfino dell’impero celeste, Graccus e l'Imperatore non erano che l'inizio; Roma che si innamorava del mondo perché in fondo il mondo era Roma, e Roma amava profondamente se stessa.
E Wu doveva contribuire a distruggere tutto questo.
Comprò qualcosa da mangiare in un banco che amava molto, come chi lo fa per l’ultima volta. Lì vicino sacerdoti di Mitra sgozzavano un toro, e con il suo sangue bagnavano un uomo. Poco più in là un suonatore suonava un doppio flauto, un uomo gli disse “Quanto vuoi per suonare?” “due assi.” “Ti do un sesterzi se smetti!” E tutti a ridere.
Tornò a casa. Si esercitò nelle forme.


Dopo tre giorni l’imperatore lo mandò a chiamare.
Lo attendeva sempre tra le colonne del cortile, all’alba. Sfogliava una pergamena.
“Wu, questo testo che mi hai tradotto, questo “Sulle cose della guerra”, è molto interessante.”
“Ne sono lieto, Cesare”
“Notevole che sia stato scritto ottocento anni fa. Alcuni punti, per esempio la disposizione dell'esercito, beh... non è certo all'altezza dell'organizzazione romana, e in alcuni punti lo trovo un po' troppo “filosofico”, ma svariati principi sono piuttosto validi.”
“Sì, è un ottimo testo.”
L’imperatore lo scrutò. Wu si sentì frugare la coscienza.
“Wu, tutto a posto? Mi sembri pensieroso”
“Non si diventa Imperatori a caso” pensò Wu.
“No Cesare, sono solo stato poco bene.”
“Chiamo il mio medico?”
“No, sto bene. Sono solo un poco debole. Cominciamo, Cesare.”
Fecero la piccola e la grande respirazione. Unirono le mani, le appoggiarono poco sopra l'inguine, sul tian, chiusero gli occhi e cercarono di non pensare a niente. Fecero l’esercizio di respirazione “la scimmia porge la frutta.” Provarono la prima forma. E poi fecero l’esercizio chiamato “spingere le mani” dove uno spingeva e l’altro accompagnava via il colpo, poi l’altro spingeva mentre il primo accompagnava via il colpo, dare e ricevere, Yin e Yang.
Era davanti all’imperatore. Un solo colpo alla base del collo. Un solo colpo. Ora.
“Sei rigido, Wu.”
Wu sussultò e guardò l'imperatore. Poi abbassò gli occhi, senza interrompere il movimento circolare delle mani.
“Cesare ha ragione. E, se posso permettermi, ha imparato molto. Ricordo quando rischiai di essere percosso quando feci notare a Cesare che solo i morti sono rigidi”
L’imperatore sorrise.
“Ah Wu. Non è mai saggio dire all’imperatore che si sbaglia.”
“No Cesare. E non è saggio fare ciò che è contro alla vita.”

Quando tornò a casa la sera, con una certa sorpresa non vi trovò nessuno. Riempì la pentola e mise sul fuoco l'acqua per il tè, aspettò che l'acqua bollisse, poi la tolse dal fuoco e con gesti precisi ci sparse piccole foglie verdi. Poi si sedette, ripetendo a se stesso che il tè ha il dono prezioso di insegnare la pazienza.
Quando fu pronto, se ne versò una tazza, e ne bevve un sorso. Bussarono alla sua porta.
“Avanti.”
Entrarono i tre uomini che dicevano di chiamarsi Drago, Scimmia e Cavallo. Chiusero la porta dietro di loro.
“Non lo hai ucciso.” disse irato Hou, la maleducata scimmia.
“Stavamo aspettando che il falso imperatore morisse per appiccare l’incendio.” aggiunse Long, il drago. Sembrava quasi triste. “Abbiamo dovuto bloccare tutto.” L'ultimo uomo, Ma il cavallo, come sempre taceva.
Anche Wu non disse niente.
“Hai disobbedito ad un ordine dell’Imperatore.” disse Long, come per convincersene “Hai disobbedito al Cielo stesso.”
“No” obiettò Wu. “Non è vero.” Posò la tazza di tè e si alzò.
“Cosa stai dicendo?”
“Quello che voi chiamate “Imperatore Celeste” aggiunse Wu “non è più imperatore.”
Long era stupefatto, tutti e tre lo erano.
“Ma, cosa..”
“È stato deposto” lo interruppe Wu, facendo un passo nella stanza. “come i Qin prima di lui, e i Manchu prima ancora. Se è stato deposto, significa che ha perso il mandato del Cielo. Ora è di Marius Invictus. Lui è il nuovo Imperatore.”
“Blasfemia” gridò Hou.
Wu non abbassò lo sguardo. Aveva fatto ciò che era naturale, ciò che era giusto. Aveva seguito la Via.
Long scrutò il vecchio maestro; poi si voltò verso i suoi compagni e annuì. Il maleducato Hou e il taciturno Ma fecero un passo in avanti. Dalle pose che assunsero, usavano uno stile esterno. E non erano principianti.
Wu aveva le spalle al muro, nessuna via di fuga. Respirò profondamente. Era freddo e immobile.



Dopo aver discusso con il messo della Nubia, Marius Invictus, in un momento di pausa, ripassava la pergamena del “Sulle cose della guerra”, che Wu gli aveva tradotto.
“Non attestarti su un terreno, se è difficile.
Su un terreno dove è facile stabilire collegamenti, stringi alleanze coi confinanti.
Su un terreno aperto, non attardarti.
Su un terreno circondato da montagne, abbi molte risorse.
Di fronte alla morte, combatti.”


Lo attaccarono insieme, Hou, impaziente, un poco in anticipo. Quello fu un errore.
Wu semplicemente si espanse. Fu come guardare un sole che infine emerge da dietro le nubi. Hou ne fu scagliato via, e andò a sbattere violentemente contro il muro. Il taciturno Ma sferrò un calcio poderoso: Wu cadde in picchiata su di esso, lo parò, lo assorbì, e gli spezzò il ginocchio.
Hou si era nel frattempo chiarito le idee e nuovamente lo assaliva.
Wu fece il passo curvo dei monaci della via, e il pugno di Hou incontrò l’aria; il maestro Wu, ora alle sue spalle, gli afferrò la fronte e il mento e li invertì.
Il collo di Hou si spezzò con rumore di legna secca; cadde a terra, invece, con un suono sordo. Vicino al suo cadavere, Ma emetteva lamenti soffocati stringendosi il ginocchio, rivelando finalmente la sua voce. Se avessero combattuto con più prudenza, pensò Wu, se il loro attacco fosse stato simultaneo ad esempio, l'esito dello scontro sarebbe potuto essere assai diverso. Come succedeva sempre a Graccus, era stato sottovalutato.
Wu alzò gli occhi verso Long, in attesa.
L'ultimo dei tre uomini fece un profondo respiro, sbuffò dal naso come un toro, e con il volto truce si mise in guardia. Era magnifico e terribile a guardarsi, il suo Qi invadeva la stanza come un sole. Wu era il buio, la notte, il suo yin.
Long lo attaccò con la punta delle dita, veloce come il serpente. Wu lo parò con sguardo assente, il suo braccio rotondo come l'ala di un airone, e cercò di colpirlo col palmo della mano.
Long lo deviò e cercò di afferrargli il polso, ma Wu divenne cedevole acqua, le sue articolazioni flessibili come giunchi, e la presa non riuscì.
Il vecchio maestro fece allora una spazzata che aveva provato con Cesare quello stesso giorno, “il monaco saggia l’acqua”; Long si ritirò su se stesso come un serpente e come un serpente nuovamente attaccò.
Con il passo curvo della via Wu gli fu dietro; Long si voltò roteando le braccia in aria, e sferrò molti piccoli pugni veloci contro lo sterno di Wu. Furono tutti parati. Long ne diede ancora uno potente e improvviso alla bocca dello stomaco.
Wu Youmei Sericus non fu abbastanza veloce.
Al pugno che gli tolse il fiato ne seguì immediatamente uno al volto, uno allo stomaco, e tre dita a sezionagli il collo, a negargli inesorabilmente l'aria.
Non respiro, pensò Wu. Non respiro.
Chiuse gli occhi. Con uno sforzo terribile ritrovò il suo equilibrio, nonostante tutto il suo corpo reclamasse l'aria. Li riaprì.
La guardia di Long si era rilassata; veniva sottovalutato ancora.
Con un movimento gemello a quello che aveva ricevuto, ma così veloce da essere quasi puro pensiero, negò l'aria anche al suo avversario; il temibile Long si portò le mani alla gola, inutilmente, gli occhi spalancati. Il maestro Wu, semplicemente, chiuse i suoi.
Il tè era ormai freddo.

“Oh sei tu. Notizie di Wu?”
Il bambino serico diede a Graccus la pergamena, prese la sua moneta e scappò via senza dire niente.
La aprì.
“Graccus,
quando scrivevo ero vivo, quando leggerai questo sarò morto. Non essere infelice per me, ho vissuto seguendo la Via e spero di morire nella stessa maniera. Mi vedo costretto ad abusare ancora della tua amicizia. E per di più devo chiederti non uno ma tre favori.
Il primo: che il mio funerale sia organizzato da te. Con il tuo gusto sono sicuro che sarà un successo. Bevi alla mia memoria un bicchiere di vino falerno.
Il secondo: salva Roma. Alcuni seres venuti da fuori stanno complottando di dargli fuoco e di uccidere l’imperatore. Impediscilo. So di non darti molte informazioni ma per un uomo della tua abilità sarà sufficiente.\
Il terzo: impedisci che ci siano rappresaglie sugli abitanti della Civitas Serica. Utilizza la mia morte, se necessario. Si sappia che un serico è morto perché si è rifiutato di uccidere l’imperatore. Si sappia che un serico è morto perché si sentiva romano.
Mentre scrivo, mi vengono in mente altri favori da chiederti. Prendi la tavola con i miei antenati, se vorrai porla insieme ai tuoi la mia gratitudine sarà eterna. Manda tutti i soldi che ti ho affidato alla vedova Han, a parte quelli per una lapide da mettere sulla via per il foro.
Sono spiacente di apportarti così tanto disturbo ma non ho altri a cui chiedere. Sei stato un buon amico, Graccus Vitalius Rubeo.

Ave atque vale,

Wu Youmei Sericus

Post Scriptum: Non esiste nessuna “gens Youmea”. Wu è il mio nome di famiglia. Youmei è il mio nome.

“Albanus!” gridò. Albanus era il suo servo.
“Manda un messo all'imperatore, mandagli questa lettera, e prepara la lettiga. Andiamo nella Civitas Serica. Sbrigati che Giove ti maledica!”

Graccus trovò l'amico morto, altri due cadaveri, il tè freddo, e uno brutto serico dalla faccia lunga che si trascinava per terra. Cominciò a prenderlo a schiaffi.
“Maledetto” diceva mentre lo colpiva. “Maledetto.” Il serico Ma non cercava di difendersi, ma stoico accettava i colpi.
Arrivò Maculatus, accompagnato dai due pretoriani che Wu aveva ribattezzato Yin e Yang. Maculatus vide i tre serici morti, tra cui il vecchio con cui l'imperatore iniziava tutte le sue giornate, e il senatore Graccus prendere a schiaffi l'unico serico vivo.
“Povero bastardo.”disse, rivolto a Ma “quanto Cesare ti metterà le mani addosso, vorrai essere già morto come i tuoi amici.”
Albanus, lo schiavo di Graccus, strinse il suo padrone in quello che era quasi un abbraccio e lo condusse via, come faceva, talvolta, per portarlo a letto quando esagerava con il vino.
“È un buon padrone.” pensò Albanus.
Ma Graccus si fermò.
No, disse, un momento.
Liberatosi dall'abbraccio, ritornò sui suoi passi, prese la tavoletta degli antenati di Wu, guardò il suo amico, scosse la testa, e andò via.


Nella stanza del trono, Marius Invictus fissava la grande statua di Ercole.
“Perdonate la mia ignoranza, Cesare” gli aveva detto una volta Wu. Si stavano allenando al chiuso perché pioveva, e il cortile era una palude di fango “ma chi è quest'uomo con la barba e la clava?”
Marius Invictus aveva aperto la bocca, sorpreso e poi aveva riso.
“A volte dimentico che sei un barbaro, Wu. È Ercole, figlio di Giove e di un'umana. A Roma crediamo che protegga la lotta, le palestre, ma anche i traffici e gli incontri tra i popoli diversi, forse perché ha viaggiato molto. È stato l'uomo più forte al mondo.”
“Mmh” disse Wu. “ la lotta. È per questo che ha tutti questi muscoli? Perché è così forte?”
“Si. Ha sconfitto il leone Nemeo e ne ha indossato la pelle, ha ucciso l'idra di Lerna e così via. Che c'è Wu, mi sembri perplesso.”
“Mah” disse Wu grattandosi la testa “perdonatemi, Cesare, spero di non offendere le vostre divinità...”
“Parla, Wu.”
“Perdonatemi, è solo che con tutti quei muscoli mi chiedo come faccia a muoversi. È scritto negli antichi testi della mia terra:
Durezza e rigidità sono compagne della morte,
morbidezza e flessibilità compagne della vita.
Nulla al mondo è più morbido e cedevole dell'acqua,
eppure nel distruggere ciò che è duro e forte,
non vi è nulla che riesca a superarla.
Questo Ercole con i suoi muscoli di pietra mi ricorda un po' voi la prima volta che vi ho visto, Cesare.”
“Cesare?”
“Si Maculutus” disse Marius Invictus, senza distogliere lo sguardo dal gigantesco Ercole e senza uscire dai suoi pensieri.
“Stiamo torchiando il serico superstite e per Giove se è un osso duro, ma è solo questione di tempo. Comunque i pretoriani sono all'erta, appena un serico si comporta in maniera strana...”
“No!” disse Marius Invictus, voltandosi “Non voglio persecuzioni sui serici! Indagate, ma non voglio disordini nella Civitas Serica, e non voglio che un solo serico sia toccato se non è strettamente necessario, è chiaro?”
Maculatus si sbrigò ad annuire.
“Si Cesare. Saremo discreti.”
Marius Invictus si voltò nuovamente verso Ercole
“Roma è ancora in piedi perché un serico è morto, non te lo scordare. Puoi andare.”
“Sì Cesare.”

Era sera. Graccus beveva vino falerno.
“Graccus, questa cosa di buttare gli avanzi per terra non la capisco proprio.” gli aveva detto una volta Wu.
“È per far vedere che sei ricco e sprecone, Wu. E poi” aveva aggiunto Graccus, ispirato “rappresenta la discesa nel mondo dei morti. Quando la vita non è più, tutto il resto, discende.”
“Capisco” aveva risposto Wu pensieroso, carezzandosi la barbetta. Dopodiché aveva preso i resti di un crostaceo e li aveva lanciati sul pavimento con una piccola parabola, come se fosse un gesto sacro.
Graccus guardò la sua coppa di vino, poi la sollevò:
“Wu Youmei Sericus” disse, nella stanza vuota “in qualunque Ade serico tu sia, non sarai dimenticato.”
Scagliò a terra la coppa; questa si ruppe in mille pezzi, e la macchia di vino si allargò come sangue.
Graccus Vitalius Rubeo, senatore di Roma, andò a dormire.



L’uomo raccolse le sue stoffe ed uscì dalla Civitas Serica, per andare al foro. La strada era rumorosa ed affollata come al solito, e doveva stare attento che non gli rubassero niente. Si fermò un secondo vicino ad una delle lapidi, di quelle lussuose con il volto scolpito, ma stranamente il volto era serico, e vecchio.
Diceva:

“Questa pietra per
Wu Youmei Sericus,
amico dell’imperatore,
morto per salvare Roma,
qui Graccus Vitalius Rubeo pose.”

L’uomo disse una breve preghiera, poi riprese il suo fagotto, e si diresse verso il foro.